La sanità pubblica italiana “va verso il baratro” a causa del crollo del rapporto tra spesa sanitaria e pil, che quest’anno si ridurrà dal 6,7% al 6,6%, scenderà al 6,2% nel 2024 e nel 2025, e poi ancora al 6,1% nel 2026. E se nel 2023 la spesa sanitaria è aumentata, rispetto al 2022, del 2,8% in termini assoluti di 3.631 milioni di euro, nel 2024 è scesa a 132.946 milioni di euro (-1,3%), per poi risalire nel 2025 a 136.701 milioni (+2,8%) e a 138.972 milioni (+1,7%) nel 2026.
Questo il risultato di un’analisi indipendente della Nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza (Nadef) 2023 condotta dalla Fondazione Gimbe sulla spesa sanitaria. L’obiettivo del documento, spiega il presidente della Fondazione Nino Cartabellotta, “è sia verificare la coerenza tra dichiarazioni programmatiche e stime tendenziali, che informare il confronto politico e il dibattito pubblico in vista della discussione sulla Manovra“. “È del tutto evidente – commenta Cartabellotta – che l’irrisorio aumento della spesa sanitaria di 4.238 milioni di euro (+1,1%) nel triennio 2024-2026 non basterà a coprire nemmeno l’aumento dei prezzi, sia per l’erosione dovuta all’inflazione, sia perché l’indice dei prezzi del settore sanitario è superiore all’indice generale di quelli al consumo“. In altri termini, le stime previsionali della Nadef 2023 sulla spesa sanitaria 2024-2026 non lasciano affatto intravedere investimenti da destinare al personale sanitario, ma certificano piuttosto evidenti segnali di definanziamento. In particolare il 2024, lungi dall’essere l’anno del rilancio, segna un preoccupante -1,3%. A parole, sottolinea il presidente di Gimbe, la Nadef 2023 afferma l’intenzione di stanziare risorse per il rilancio del personale sanitario nel prossimo triennio ma i numeri non lasciano intravedere affatto i fondi necessari, ma viceversa documentano segnali di definanziamento della sanità pubblica ancor più evidenti di quelli del Def 2023, le cui stime previsionali sulla spesa sanitaria sono state riviste al ribasso“.
Riassumendo, nel 2023 la spesa sanitaria, secondo i dati di Gimbe, si riduce, rispetto al 2022, dello 0,1% in termini di percentuale del pil, di 1.309 milioni (134.734 milioni contro 136.043) in termini assoluti, con un meno 1% in termini di variazione percentuale. Nel triennio 2024-2026 la spesa sanitaria si riduce complessivamente dello 0,2% in termini di percentuale di pil, aumenta di 2.449 milioni (in media 816 milioni l’anno) in termini assoluti e aumenta di 1,4 punti percentuali (in media di 0,47 per anno) in termini di variazione percentuale. “Oggi la grave crisi di sostenibilità del Ssn – continua Cartabellotta – non garantisce più alla popolazione equità di accesso alle prestazioni sanitarie con pesanti conseguenze sulla salute delle persone e sull’aumento della spesa privata. A fronte di questo scenario, le stime Nadef 2023 spingono la sanità pubblica sull’orlo del baratro, confermando che il rilancio del Ssn non rappresenta una priorità politica nell’allocazione delle, pur limitate, risorse. Scivolando, lentamente ma inesorabilmente, da un Servizio Sanitario Nazionale basato sulla tutela di un diritto costituzionale, a 21 sistemi sanitari regionali basati sulle regole del libero mercato. E, ignorando, rispetto ad altri paesi, che lo stato di salute e benessere della popolazione condiziona la crescita del pil: perché chi è malato non produce, non consuma e, spesso, limita anche l’attività lavorativa dei propri familiari“.
Sulla sanità il documento di economia e finanza del governo Meloni è «uno scempio» commenta Elly Schlein oggi su Repubblica. «Servono almeno 4 miliardi l’anno in più per i prossimi cinque anni per raggiungere il 7,5% di spesa sanitaria rispetto al Pil e portare l’Italia nella media europea». Risorse che servono «per sbloccare le assunzioni e chiudere la stagione dei gettonisti» E poi per attuare davvero «la riforma della medicina territoriale di prosssimità, che è il tassello fondamentale per decongestionare gli ospedali e dare cure appropriate. In un Paese in cui milioni di persone rinunciano a curarsi perché non se lo possono permettere, il diritto alla salute dipende troppo spesso da quanto dista la loro casa da un grande centro urbano e dai suoi ospedali». Il Pd, assicura, «non farà mezzo passo indietro di fronte al tentativo di questo governo di spingere “sull’orlo del baratro” la sanità pubblica, come ha chiarito la Fondazione Gimbe». Per Schlein «Meloni non sa o non vuole vedere le diseguaglianze che crescono tra i cittadini di fronte alla malattia, le liste d’attesa che si allungano a dismisura, la carenza drammatica di personale nei servizi pubblici, il malessere profondo che vivono medici, infermieri, professionisti che dopo essere stati chiamati eroi durante la pandemia ora si sentono abbandonati. La destra come pensa di spiegare al Paese che non metteranno risorse aggiuntive per la Sanità e che, addirittura, stanno preparando tagli pesantissimi?». «Noi siamo pronti a discutere sulle misure per migliorare il nostro Servizio Sanitario nazionale. Purché non si tratti di aperture tattiche, come è avvenuto proprio sul salario minimo, ma di risorse vere. Non è giustizia sociale dover fare 200 giorni di lista di attesa per una mammografia, quando in alcune strutture si possono pagare 149 euro per saltare la fila al pronto soccorso. Abbiamo bisogno di una Sanità non solo ospedaliera e di qualità ma sempre più territoriale, capillare, delle case di comunità».